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Black Lives Matter

Ormai l’espressione Black Lives Matter (in inglese ‘Le vite dei neri contano’) risuona in ogni angolo del mondo come vero e proprio grido di battaglia ed è diventato il motto ufficiale dell’omonimo movimento attivista americano che lotta in difesa della popolazione afro-americana, oggetto di discriminazioni e abusi da parte delle forze di polizia e del sistema giudiziario degli Stati Uniti.

Le origini del movimento

Il movimento del Black Lives Matter è salito agli onori della cronaca nella primavera del 2020, ma le sue origini risalgono a qualche anno fa. Nel 2013 il cittadino americano George Zimmerman è stato assolto dalle accuse di omicidio nei confronti di un giovane afro-americano morto in uno scontro a fuoco nel 2012. Ben presto sono apparsi sui social media i primi tweet con l’hashtag #blacklivesmatter, lanciati per iniziativa di tre donne di colore.

Successivamente, nelle principali città americane, hanno avuto inizio le prime proteste pacifiche a seguito di aggressioni a danno delle persone afro-americane.

Il movimento antirazzista del Black Lives Matter non ha sviluppato una vera e propria struttura direttiva ufficiale ma negli anni ha esteso la propria organizzazione in almeno 30 sezioni locali.

Gli oppositori del movimento pensano che non sia utile alla difesa delle donne nere americane ma che abbia unicamente l’effetto di fomentare l’odio contro la polizia.

Il simbolo del Black Lives Matter   

Gli attivisti del Black Lives Matter spesso sfilano per le strade con il pugno alzato e proprio un pugno nero è diventato il simbolo del movimento americano. Questa immagine compare frequentemente su cartelloni e striscioni ma ha una lunga storia alle spalle.

Il logo era già stato utilizzato dal Black Panther Party, un’organizzazione politica nata nel 1966 per difendere i diritti civili degli afro-americani ma, a differenza di Martin Luther King, le Pantere Nere non rifiutavano la violenza come forma di lotta. Uno dei momenti più significativi si è avuto nel 1968 alle Olimpiadi di Città del Messico. Durante la cerimonia di premiazione, gli atleti John Carlos e Tommie Smith indossarono dei guanti neri e al momento dell’inno alzarono entrambi il pugno.

Lo stesso Nelson Mandela, quando fu scarcerato nel 1990 dopo 27 anni di prigione, sollevò il pugno verso sua moglie in segno di trionfo. Negli anni questo simbolo ha accompagnato ogni tipo di protesta contro il razzismo e dal 2013 è diventato l’emblema del Black Lives Matter.

Il Black Lives Matter nel 2020

“I Can’t Breathe” sono le ultime parole dette nel maggio del 2020 a Minneapolis da George Floyd, un uomo di colore ucciso da un agente di polizia che in un fermo gli ha premuto il ginocchio sul collo. Una vicenda ha riacceso i riflettori sul problema del razzismo in America e, in questa occasione, il Black Lives Matter si è ancora schierato in difesa della vittima. La frase “I Can’t Breathe viene ripetuta come grido di protesta e vengono anche scritte sulle mascherine adoperate per la prevenzione del contagio da covid-19.

Dal Maggio 2020 si sono svolte quotidianamente marce, sit-in, fiaccolate e proteste di piazza per chiedere che queste cose non succedano più. La morte di George Floyd ha però scatenato anche rivolte e saccheggi per le strade, tanto che in molte metropoli americane è stato dichiarato il coprifuoco ed è stata allertata la Guardia Nazionale.

Chi era George Floyd

George Floyd aveva 46 anni ed era originario del Texas. Dopo il diploma ottenuto nel 1993 si era dedicato alla musica, diventando membro di un gruppo rap. Nel 2007 era stato arrestato per rapina e condannato, dopo due anni, a 5 anni di reclusione.

Nel 2014 George Floyd si spostò in Minnesota e iniziò a lavorare come guardia notturna a Minneapolis. Padre di due figli di 6 e 22 anni, poco prima di morire aveva perso il lavoro a causa dell’epidemia di coronavirus ed era in difficoltà economiche negli ultimi tempi.

La morte di George Floyd in Minnesota

La morte di George Floyd a Minneapolis è avvenuta il 25 maggio 2020. Quel giorno i poliziotti erano stati allertati in seguito alla denuncia per un tentativo di pagamento con banconote false da parte di Floyd. La prima volante della polizia fermò l’uomo e gli ordinò di scendere dall’auto. Secondo i testimoni non avrebbe opposto resistenza e sarebbe stato ammanettato senza difficoltà.

Nel frattempo era arrivata anche una seconda auto con altri agenti e poi una terza. Da quest’ultima scesero gli agenti Thao e Chauvin che fecero sdraiare George Floyd faccia a terra. Chauvin lo bloccò facendo pressione con il ginocchio sul collo per quasi 10 minuti ed è a questo punto che Floyd iniziò a sentirsi male. L’uomo lamentava difficoltà a respirare ma nessuno gli prestava attenzione. Dopo che ebbe perso coscienza fu subito allertata un’ambulanza ma non ci fu niente da fare poiché George Floyd morì in ospedale alle 21:25 di quella sera.

Poche ore dopo si è sollevato un polverone di polemiche sui social in quanto si sono diffusi un gran numero di video Youtube che riprendevano il momento dell’arresto per la strada. Non è stato neanche semplice ricostruire gli avvenimenti di quel giorno e alcuni elementi sono stati chiariti grazie alla ricostruzione del New York Times sul caso George Floyd. Fondamentali sono stati i video amatoriali girati dai passanti e quelli delle telecamere di sicurezza.

Dopo la morte di Floyd il sindaco di Minneapolis ha deciso di licenziare i 4 agenti coinvolti nella tragedia, i quali sono stati poi incriminati per omicidio colposo. Al tempo stesso negli Stati Uniti si è innescato un acceso dibattito politico sulle forze di polizia e sulla necessità di una decisa e profonda riforma del sistema che impedisca abusi di potere.

George Floyd e il Black Lives Matter in America e nel mondo

La morte di George Floyd ha dato il via a una forte ondata di proteste pacifiche ma anche violente che hanno scosso tutto il territorio degli Stati Uniti. Le prime manifestazioni hanno avuto inizio il giorno dopo l’accaduto, in seguito alla diffusione virale dei filmati che mostravano l’aggressione subita da Floyd.

Da Minneapolis l’onda del Black Lives Matter si è estesa a macchia d’olio in tutto il Paese, coinvolgendo le principali città americane come New York, New Orleans, Miami, Los Angeles, Boston, Las Vegas, San Francisco, Atlanta, Phoenix, Seattle, Dallas, Chicago e molte altre. Particolarmente commovente è stata la commemorazione pubblica del 27 maggio a Los Angeles.

Purtroppo in molte occasioni i raduni sono degenerati in assalti, scontri con la polizia e saccheggi dei negozi. Il presidente Trump ha scelto di schierare l’esercito a Washington per contrastare le azioni dei manifestanti avvenute a poca distanza dalla Casa Bianca.

Ad ogni modo, il resto del mondo non è rimasto indifferente alla morte di George Floyd e in diversi Paesi si sono svolte marce e proteste contro il razzismo. Intanto sui social è partito un passaparola senza precedenti, con una serie di attività volte a sensibilizzare la gente sul tema delle discriminazioni razziali. Ad esempio, su Instagram è stata lanciata una campagna di sostegno nella quale si invitavano gli utenti a pubblicare una foto nera accompagnata dall’hashtag #blacklivesmatter o #BLM.

Il Black Lives Matter e lo sport

Moltissime personalità del mondo sportivo si sono mobilitate in prima persona per non spegnere l’attenzione su George Floyd e il Black Lives Matter. I giocatori dell’NBA, capitanati dalla stella Lebron James, hanno ufficialmente appoggiato le iniziative del movimento attivista e molti di loro hanno preso l’abitudine di inginocchiarsi durante l’inno nazionale.

Allo stesso modo, il campione di F1 Lewis Hamilton si è dimostrato solidale con George Floyd e il Black Lives Matter, coinvolgendo i suoi colleghi piloti e i membri dei vari team. Invece i principali campionati di calcio d’Europa hanno sostenuto la causa indossando magliette celebrative o stampando la frase sulle divise ufficiali di gioco.

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