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La Crisi del 29: storia e riassunto della Grande Depressione

Gli anni Venti furono un’epoca di grande crescita economica per gli USA. Non c’era disoccupazione e le imprese crescevano, quotandosi in Borsa. L’americano medio cominciava a investire senza risparmiare, a gestire imprese e business redditizi.

Molti chiedevano prestiti alle banche per poi investirli in Borsa, e la deregolamentazione finanziaria permetteva una gestione molto libera delle transazioni. Sarà proprio il distacco fra l’economia reale e quella finanziaria a produrre il crollo della borsa del 1929, e a scatenare una reazione a catena che portò alla Grande Depressione (1929-1939); un episodio fondamentale nella storia degli Stati Uniti.

Cos’è la Grande Depressione?

La Grande Depressione seguita al Giovedì Nero del 1929 è stata la maggiore crisi nella storia degli Stati Uniti, influenzando praticamente a tutto il mondo industrializzato nel corso dei dieci anni successivi.

La crisi dell’economica americana iniziò nel 1928 con la caduta dei prezzi agricoli, entrò nella sua fase acuta nel marzo del 1929 con un piccolo crollo della borsa poi stabilizzato e poi esplose il 29 ottobre, quando affondò la Borsa di New York a seguito di un panico di vendita collettiva seguito a una caduta del valore azionario nell’arco dei mesi precedenti. Quel giorno scesero rapidamente gli indici di numerosi titoli e continuarono la loro discesa per tre mesi consecutivi.

Inizialmente la crisi fu sottovalutata dall’amministrazione Hoover. Le banche non avevano soldi e quindi le aziende non ottenevano credito, le produzioni si fermavano, creando disoccupazione. Questa situazione si estese rapidamente anche all’Europa, che dipendeva dai capitali americani. Quando i risparmiatori, spaventati dal crollo dei mercati e dalla conseguente deflazione, smisero di investire e anzi andarono in massa a ritirare i propri risparmi, la crisi raggiunse il suo momento più grave.

Nel dicembre del 1930 si verifico una corsa agli sportelli della Bank of United States, istituzione allora privata e senza legami solidi con il governo. Incapace di pagare tutti i suoi creditori, la banca fallì. Nel mese successivo questo causò la chiusura di ben 608 banche americane, dando via a un circolo vizioso che precipitò gli USA nella crisi.

Le cause della Grande depressione del 1929

Molti fattori contribuirono a questa crisi: la causa principale di questo disastro finanziario, conosciuto come il giovedì nero, fu una politica finanziaria che incoraggiava una speculazione esagerata, dovuta alla sovrapproduzione e all’inflazione del credito. A questo va sommata un’ineguale distribuzione della ricchezza negli anni Venti, he non permetteva alla popolazione di riassorbire la sovrapproduzione di beni. Le profonde diseguaglianze crearono un’economia instabile.

Tuttavia, nonostante quasi cento anni di storia ci separino dalla Grande Depressione, gli economisti non sono ancora del tutto concordi sui fattori che determinarono il corso della crisi economica. Se è vero che gli eventi chiave che caratterizzarono il periodo 1929-1939 sono abbastanza chiari è condivisi, gli studiosi sono meno concordi sullo stabilire quali fossero cause e quali conseguenze. Le teorie maggiormente accettate attualmente sono quella monetarista e quella keynesiana, basata sull’analisi della fluttuazione domanda-offerta.

Secondo la prospettiva monetarista, la Grande Depressione è cominciata come una comune recessione, ma si è poi aggravata a causa di una risposta politica inefficace da parte della Federal Reserve Bank. La Federal Reserve nasce da un gruppo di grandi economisti, banchieri e investitori presieduto da J.P. Morgan, che aveva contribuito a fermare la precedente cirisi economica del 1907 ed era poi stato istituzionalizzato su richiesta del Congresso.

Mentre nel 1907 la F.R.B. era riuscita a tamponare la corsa agli sportelli prestando grandi liquidità alle banche, nel caso della Cirisi del 1929 si decise di utilizzare una politica opposta, portando le banche ad essere prosciugate di liquidità dopo che gli investitori iniziarono a prelevare capitali in massa su effetto della deflazione dei prezzi. Secondo i monetaristi, quindi, una politica monetaria più disponibile al prestito avrebbe potuto minimizzare gli effetti del crollo della borsa.

L’economista britannico John Maynard Keynes, invece, pur riconoscendo una responsabilità alla Federal Reserve Bank nel non essere stata in grado di gestire la crisi, proponeva una diversa interpretazione del fenomeno. Per Keynes, nonostante il maggiore risparmio da parte di imprese e consumatori seguito al crollo della borsa avrebbe causato una riduzione dei tassi d’interesse, le prospettive di profitto erano troppo basse perché questo innescasse di per sé una ripresa degli investimenti.

Di conseguenza, quello che la F.R.B. doveva fare era prestare più soldi al governo degli Stati Uniti per creare nuovi posti di lavoro e quindi far rimanere stabile la domanda. Questo avrebbe frenato la deflazione e avrebbe creato un clima di positività negli investitori, attutendo fortemente gli effetti della crisi.

Conseguenze della Grande depressione

Ecco quindi quali furono i principali effetti della Grande Depressione in America e nel resto del mondo.

Conseguenze a livello internazionale

A livello internazionale, la Grande Depressione causò uno spostamento verso destra delle politiche nazionali, e contribuì ad accelerare dei processi di trasformazione politica. Un esempio eclatante di questo secondo caso è il ruolo che l’allargarsi della crisi in Germania ha avuto nell’escalation di adesioni al Partito Nazional-socialista dei Lavoratori Tedesco.

La diminuzione della domanda americana frenò le esportazioni di molti paesi, facendo calare il commercio mondiale. Gli Stati Uniti cercarono di rimpatriare i capitali investiti all”estero. Ciò ebbe gravi ripercussioni soprattutto sulla Germania, che aveva goduto di grossi prestiti dagli USA a causa degli alti costi delle riparazioni addebitategli dal Trattato di Versailles, a seguito della Prima Guerra Mondiale. Nelle politiche internazionali si accentuarono i nazionalismi.

In Italia, l’allargarsi della crisi colpì particolarmente duro. Le aziende cominciarono a fallire e ad essere acquistate dalle banche, che però non avevano i mezzi per rilanciarne la produttività. La crisi si risolse solo tramite un massiccio intervento dello stato, attraverso il programma promosso dall’Istituto per la Ricostruzione Industriale, che acquistò le imprese dalle banche e ne modernizzò, razionalizzò e incentivò la produzione.

Conseguenze a livello nazionale

In America la prima fase della crisi fu affrontata dall’amministrazione del repubblicano Herbert Clark Hoover, 31° Presidente degli Stati Uniti d’America. Hoover oscillò fra non interventismo e protezionismo, e in generale non fu in grado di contrastare la tendenza negativa in modo significativo. Per prima cosa cercò di disincentivare il crollo della produzione e il taglio della forza lavoro, ma le imprese non avevano margine di scelta.

Successivamente il Congresso approvò lo Smoot-Hawley Tariff Act (1930), una misura protezionistica che aumentava la tassazione sui prodotti importati al 50% nella speranza di proteggere il mercato interno. Purtroppo, questa misura non solo fu inefficace, ma portò a misure simili per rappresaglia nei paesi esteri, e a un conseguente crollo delle esportazioni.

Neanche il tentativo successivo di convincere le grandi banche a investire su quelle minori per evitarne il default ebbe successo. Nel 1932 la disoccupazione aveva raggiunto il 23,6%, moltissime banche avevano chiuso e così altrettante imprese, tanti americani impoveriti avevano perso la casa ed avevano iniziato a vivere in villaggi di baracche conosciuti come Hooverville. La produzione gli investimenti e il reddito continuavano a calare, il che costò ai repubblicani il Congresso nelle elezioni del 1932.

Il Democratico Franklin Delano Roosevelt avrebbe poi preso in mano la situazione a partire dal suo insediamento (1933), istituendo una serie di misure economiche conosciute come New Deal (1933-43).

Il New Deal

Il New Deal di Franklin Delano Roosevelt (FDR), fu il primo vero cambiamento nella gestione della crisi. A partire dal 1933 Roosevelt diede avvio a una serie di riforme economico-sociali per ammortizzare gli effetti della depressione. Roosevelt si dotò di un gabinetto di consiglieri (il brain trust) composto da alcuni fra i maggiori esperti provenienti dal mondo accademico americano.

Prima fase del New Deal (1933-1935)

Durante i primi cento giorni del suo operato bloccò la possibilità di prelievo bancario per sondare lo stato di liquidità degli istituti di credito, poi, tramite la pratica dei “Discorsi al caminetto” (ovvero discorsi fatti per radio alla Nazione) instillò una nuova fiducia nella solidità delle banche, che portò i cittadini a ricominciare a depositare liquidità.

Roosvelt avviò quindi una politica volta all’interventismo economico, stanziando un piano di investimenti pubblici per la ripresa del paese. Istituì i Civilian Conservation Corps, un corpo statale che dava lavoro e alloggio ai disoccupati, impiegandoli in una sorta di servizio civile; incentivò gli agricoltori a diminuire o azzerare la produzione, per far fronte alla crisi di sovrapproduzione che aveva colpito il settore già dagli anni Venti; abbandonò il sistema della parità aurea sbloccando la circolazione di moneta, istituì un piano di ripresa industriale, di regolamentazione del prezzo dei salari e della concorrenza. Infine, regolamentò le transazioni finanziarie sconsiderate che avevano contribuito al crollo della borsa, e aumentò considerevolmente la tassazione sui redditi più alti.

Seconda fase del New Deal (1935-1943)

Nella seconda parte dell’azione del New Deal (1935-1943) Roosevelt promosse il Social Security Act per dare più garanzie di sostegno pensionistico ai lavoratori: questo rappresentava la prima forma di welfare moderno, e permetteva di disporre di un sussidio per disoccupazione, vedovanza o disabilità. Il National Labor Relations, inoltre, istituì la possibilità da parte dei lavoratori di formare dei sindacati, così da impedire alle imprese di ricorrere a forme di lavoro irregolare.

Nel 1938 fu emanata una “Legge sul lavoro giusto”, al fine di eliminare la manodopera infantile e nel mentre si stabilì un salario minimo. Fu creata anche una legge federale sul teatro per dare sollievo agli attori che avevano perso il loro lavoro a causa del successo del nuovo cinema.

Gli effetti del New Deal furono nettamente positivi: la disoccupazione calò e ci fu una ripresa della produzione e degli investimenti. Quando le misure di incentivo all’economia furono eliminate nel 1937, ci fu di nuovo un breve periodo di recessione, che però fu riassorbito dallo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, che comportò uno sforzo economico colossale e, di conseguenza, la piena occupazione della forza lavoro del Paese.

Fonti Consultate