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Gli USA nella Prima Guerra Mondiale

Nonostante l’entrata in guerra degli USA nella Prima Guerra Mondiale avvenne relativamente tardi e vi siano rimasti per poco più di un anno, il loro apporto è stato fondamentale per la risoluzione del conflitto a favore degli Alleati.

Nei prossimi paragrafi vedremo come e perché l’opinione pubblica del paese passò da un iniziale neutralismo a un sempre più marcato interventismo fra il 1914 e il 1917, e quali ideali mossero uno dei più importanti fautori dell’entrata in guerra della Nazione, il Presidente Woodrow Wilson.

Perché gli Stati Uniti entrarono nella Prima Guerra Mondiale?

Quando gli Stati Uniti decisero di entrare in guerra a fianco degli Alleati, nel 1917, erano già passati tre anni da quando la Prima Guerra Mondiale era cominciata. Fin dall’inizio del conflitto comunque, gli USA erano coinvolti indirettamente, fornendo supporto logistico e materiale a Inghilterra e Francia, tra gli altri Alleati.

La mobilitazione di unità militari fu graduale nei primi mesi della guerra, e diventò poi via via più ingente, fino a diventare determinante negli ultimi mesi del conflitto, a partire dalla primavera del 1918. Complessivamente, gli americani arriveranno a mobilitare quasi cinque milioni di unità militari.

Come già accennato, la Nazione, attraverso l’impegno dell’allora presidente Woodrow Wilson, si era dichiarata neutrale dopo l’inizio della Guerra, nel 1914. Sotto una politica di liberismo economico che favoriva la crescita, le banche americane finanziarono significativamente gli Alleati attraverso prestiti destinati alle operazioni militari. Inoltre, Wilson era un fervente sostenitore della pace.

Il periodo di relativa prosperità che attraversava il Paese aveva creato un clima antibellico molto diffuso, non solo fra i cittadini propriamente americani, ma anche in molte delle comunità di emigranti che si stavano formando in Nord America. Molti consideravano l’entrata in guerra una minaccia per il benessere della Nazione, nonostante una minoranza filo-britannica spingesse per offrire sostegno alla ex-madrepatria fin dal 1914.

Parallelamente, l’opinione pubblica americana e il presidente Wilson stesso erano influenzati da un crescente sentimento anti-germanico, che contribuì alla decisione di dichiarare guerra all’Impero Tedesco il 6 aprile 1917.

Fra i neutralisti americani che dal 1915 si impegnarono per promuovere soluzioni pacifiche e trattative, troviamo l’industriale Henry Ford e la leader del movimento femminile Jane Addams. Molti americani di origine tedesca propendevano per la neutralità, e così anche quelli di origine irlandese, che non vedevano di buon occhio la prospettiva di fornire sostegno all’Inghilterra, soprattutto dopo i fatti della Pasqua del 1916. Fra gli interventisti, invece, c’erano soprattutto gli intellettuali e gli appartenenti al ceto medio che avevano legami di sangue o di interesse con la Gran Bretagna.

La maggioranza neutralista iniziò a incrinarsi a partire dal 1915, quando emersero notizie sulle brutalità perpetrate dall’esercito tedesco in Belgio e sulla strategia navale che l’Impero stava adottando. Con l’uso intensivo della sua flotta di sottomarini (U-Boot), la Germania intensificò la guerra sottomarina indiscriminata contro la Gran Bretagna e i suoi alleati a partire dal 1915..

Questo strategia, che verrà ripresa nella Seconda Guerra Mondiale sia dalla stessa Germania (e sempre contro l’Inghilterra) sia dagli Stati Uniti contro il Giappone, era impiegata dalle potenze militari che non si potevano permettere di attuare un blocco navale classico per tentare di isolare uno stato insulare.

Mentre con il blocco navale si rende impossibile lo sbarco nei porti di una nazione mediante l’uso della forza, nella guerra sottomarina indiscriminata si bombardano tutte le navi mercantili che si trovino nelle acque di un determinato paese, così da negargli l’accesso agli approvvigionamenti. Un esempio notevole fu l’affondamento del transatlantico inglese RMS Lusitania, partito da New York, che causò la morte di 128 cittadini americani e acuì le tensioni tra USA e Germania. Il transatlantico che diventò famoso per le conseguenze del suo triste destino ancora oggi giace in acque territoriali irlandesi.

Il cambiamento nell’opinione pubblica americana fu accelerato dai fatti del 1915, compresi gli attacchi sottomarini tedeschi, e fu ulteriormente spinto dal Movimento di Preparazione, che propugnava un maggiore armamento. Questo, composto soprattutto da uomini influenti affiliati al partito repubblicano, come l’ex presidente Theodore Roosevelt, consideravano il pacifismo come poco adeguato a risolvere gli affari internazionali, e credevano che l’America sarebbe dovuta entrare in guerra a un certo punto, volente o nolente.

In quanto fronte atlantista, interventista e filo-inglese, il primo passo del Movimento di Preparazione fu quello di mobilitare i detentori di capitali economici, politici e culturali per promuovere una corsa agli armamenti. All’altezza del 1915, infatti, l’esercito americano contava solo di circa 250.00 (comprese quelle della Guardia Nazionale), e non aveva avuto quasi nessuna esperienza in conflitti internazionali. Gli sforzi dei membri del Movimento portarono all’introduzione della proscrizione obbligatoria per chiunque avesse compiuto i 18 anni d’età in quell’anno, con sei mesi di addestramento obbligatorio e l’iscrizione a una milizia di riserva.

Questa mossa non passò inosservata presso i democratici, che si impegnarono per promuovere un’immagine trionfalistica dello stato di salute dell’esercito americano (che in realtà era poco preparato, inesperto, e privo delle conoscenze di intelligence sulle nuove tecnologie belliche dei carrarmati e delle flotte aeree). Inoltre, sia i democratici sia i repubblicani più conservatori consideravano la guerra come un’interesse di pochi industriali e investitori del Nord metropolitano, spaventati dai possibili effetti macroeconomici di un’eventuale sconfitta dell’Inghilterra e di una sua conseguente bancarotta. Per i neutralisti, quindi, il disarmo sarebbe stata la condotta più adatta a scongiurare una escalation militare.

Il dibattito interno si intensificò quando il Segretario di Guerra Lindley Garrison approvò diverse proposte del Movimento di Preparazione, spingendo verso un maggiore armamento. Quella che seguì fu la più grande polemica americana sul conflitto fra gli obbiettivi militari e l’opinione pubblica. I democratici iniziarono ad accusare il presidente Wilson di essersi piegato ai fautori del militarismo, e si organizzarono per boicottarlo in un momento molto delicato, in quanto nel 1916 si sarebbero tenute le elezioni per il secondo mandato. Il Congresso presentava ancora una maggioranza neutralista, e, data l’insicurezza circa i risultati delle elezioni che si sarebbero tenute di lì a poco, Wilson decise di optare per una soluzione di compromesso.

Dopo aver sostituito Lindley Garrison con il democratico Newton Baker, già sindaco di Cleveland e fervente oppositore del Movimento di Preparazione, Wilson si impegnò per garantire un ampliamento molto modesto dell’esercito e della guardia nazionale (che sarebbero dovute passare in qualche anno rispettivamente a circa 250.000 e 440.000 unità). Inoltre, il Congresso affossò anche un piano per la realizzazione di una Grande Marina per pochi voti, di fatto cancellando i progetti di ampliamento della flotta americana. Mentre i repubblicani interventisti restarono delusi da questa magra concessione, i neutralisti considerarono l’epilogo parziale come una vittoria.

L’opinione politica cambiò nuovamente dopo la battaglia navale dello Jutland (31 maggio-1 giugno 1916), dove le enormi flotte inglese e tedesca si scontrarono, evidenziando la necessità di un rafforzamento navale. Il fronte navalista prevalse, e fece approvare un piano di potenziamento bellico totale da realizzarsi in tre anni. I tedeschi, convinti che l’America non rappresentasse una vera minaccia, in quanto non sarebbe riuscita a intervenire a sostegno degli Alleati prima del 1919, decisero di incrementare la loro strategia di guerra sottomarina indiscriminata a partire dal 1917, nel tentativo di costringere l’Inghilterra alla resa il più velocemente possibile.

Il Telegramma Zimmermann

Gli eventi dei primi mesi del 1917 furono cruciali per scongiurare le speranze dei tedeschi e determinare un’entrata in guerra anticipata da parte degli Stati Uniti. Il primo fattore di definitivo mutamento dell’opinione pubblica in direzione di un atteggiamento interventista fu dovuto all’intercettazione da parte dei servizi segreti inglesi del famoso Telegramma Zimmermann.

In questo documento, l’Impero Tedesco proponeva segretamente al Messico un’alleanza militare contro gli Stati Uniti, promettendo in cambio il sostegno per la riconquista del Texas, del Nuovo Messico e dell’Arizona, perduti durante la Guerra Messicano-Americana.

In cambio, la Germania avrebbe finanziato lo stato messicano e avrebbe sostenuto una campagna militare di riconquista dei territori del Texas e del Nuovo Messico, strappatigli settanta anni prima proprio dagli USA attraverso la Guerra Messicano-Americana.

Quando il Telegramma fu reso noto all’opinione pubblica americana si generò un’ondata di profonda indignazione: la maggioranza considerava adesso giustificata l’entrata in guerra del loro Paese. Inizialmente, Wilson mantenne una posizione di cautela, cercando di evitare una risposta diretta agli attacchi degli U-Boot tedeschi. Dopo l’affondamento di diverse navi americane da parte dei sottomarini tedeschi, Wilson però chiese ed ottenne dal Congresso la dichiarazione di guerra all’Impero Tedesco.

Cambiamenti sociali derivati dall’entrata in guerra degli USA

L’entrata in guerra degli Stati Uniti, oltre a modificare drasticamente gli equilibri del conflitto in favore degli Alleati, determinò anche un’accelerazione di un cambiamento sociale sul fronte interno, verso un’allargamento notevole dell’accesso alla vita pubblica. Il ruolo significativo delle donne americane nell’industria bellica e nell’intelligence militare durante la guerra stimolò una crescente richiesta di maggiori diritti politici, culminando nel diritto di voto con il XIX emendamento nel 1920.

Analogamente, numerosi afroamericani si arruolarono nell’esercito, vedendo la partecipazione alla guerra come un’opportunità per dimostrare la loro dignità e valore. Nonostante le continue discriminazioni, l’esperienza in Europa dove molti soldati afroamericani sperimentarono una vita meno segregata, alimentò le aspirazioni per i diritti civili al ritorno in patria.

Nonostante le condizioni di servilismo e di brutale segregazione a cui i soldati di colore furono sottoposti, l’esperienza della vita non segregata che molti poterono fare durante le missioni in Francia portò a una politicizzazione che fu fortemente osteggiata dalla popolazione bianca nel dopoguerra, che invece premeva per un “ritorno all’ordine”.

Ciononostante, lo sforzo bellico dei militari di colore segnò un cambiamento irreversibile nella coscienza di classe della popolazione afro-americana, contribuendo alla politicizzazione di massa dei decenni seguenti.

Woodrow Wilson e la Società delle Nazioni

La Società delle Nazioni fu uno dei risultati più rilevanti per la collaborazione internazionale che seguirono la fine della Prima Guerra Mondiale e il Trattato di Versailles (1919), e divenne operativa già dal 1920. La Società si sarebbe dovuta impegnare per promuovere politiche di disarmo internazionale, risoluzione diplomatica dei conflitti, regolamentazione del lavoro, del commercio e dell’impiego di armi.

Inoltre, avrebbe dovuto controllare l’operato e promuovere lo sviluppo di tutti i paesi che ne facevano parte. Con l’inizio della Seconda Guerra Mondiale, l’efficacia della Società delle Nazioni diminuì significativamente, e questa si sciolse definitivamente nel 1946, con molte delle sue funzioni e obiettivi trasferiti alla nascente Organizzazione delle Nazioni Unite.

Woodrow Wilson, presidente degli Stati Uniti durante il conflitto mondiale, fu la figura chiave nella creazione della Società delle Nazioni, un’impresa che gli valse il Premio Nobel per la Pace nel 1919. I principi fondamentali della filosofia internazionale di Wilson furono esposti nel suo discorso dei Quattordici Punti, pronunciato davanti al Congresso degli Stati Uniti l’8 gennaio 1918, passato alla storia come discorso dei quattordici punti di Wilson: una serie di direttive che avrebbero dovuto guidare i principi fondanti della pace di Versailles.

I quattordici punti di Wilson

Nei quattordici punti, Wilson auspicava una “pace senza vincitori“, l’impegno per il ripristino e il rispetto dei confini etnico-nazionali, il principio di autodeterminazione dei popoli, la tolleranza politica nei confronti di forme di governo diverse da quelle liberal-liberiste (con riferimento esplicito alla Russia comunista) e una gestione più limpida degli scambi diplomatici fra gli stati.

I principi espressi nei Quattordici Punti furono incorporati nel Patto della Società delle Nazioni, il documento fondamentale che definì l’organizzazione e che fu firmato dai membri fondatori nel 1919. Gli articoli iniziali erano 27, ma il IV, il VI, il XII, il XIII, e il XV furono emendati nel 1924. La Convenzione stabiliva l’organizzazione e la giurisdizione degli organi della Società, nonché gli obblighi dei vari stati firmatari. In particolare, due articoli si dimostravano particolarmente stringenti e impegnativi per gli aderenti:

  • L’articolo VIII: imponeva ai firmatari la riduzione degli armamenti al livello minimo necessario per la sicurezza nazionale, richiedendo la notifica alla Società delle Nazioni di qualsiasi modifica nella spesa militare e una rendicontazione trasparente della produzione di armamenti.
  • l’articolo X: imponeva a qualunque stato firmatario di prendere parte a un conflitto che avesse riguardato gli altri firmatari senza riserve nel caso questi si fossero configurati come stati offesi, o minacciati nella loro integrità nazionale.

La mancata adesione degli USA alla Società delle Nazioni

L’articolo X della Società delle Nazioni, che impegnava i membri a difendere l’integrità territoriale e l’indipendenza politica di altri stati membri, fu particolarmente controverso e rappresentò una delle principali sfide per Wilson, che incontrò una forte resistenza nel Congresso degli Stati Uniti, nonostante fosse stato uno dei principali promotori dell’organizzazione.

Per far passare l’adesione al Congresso, Wilson avrebbe avuto bisogno di convincere 2/3 dei senatori, che al tempo erano di maggioranza repubblicana, e sebbene ottenne la maggioranza relativa non riuscì mai a convincere il Congresso. Gli stati Uniti, infatti, non entrarono mai a far parte della Società delle Nazioni.

Questo si dovette principalmente al fatto che Wilson non era disposto a negoziare nemmeno un punto della Convenzione. I suoi oppositori si dicevano disposti a votare l’entrata con riserva, ovvero previa modifica di alcuni articoli, e in particolar modo dell’articolo X.

Questo fronte, guidato dal senatore repubblicano Henry Cabot Lodge e noto come gli ‘Irreconcilables’, includeva anti-britannici, isolazionisti e internazionalisti cauti, per i quali l’adesione alla Società rappresentava un impegno internazionale eccessivamente oneroso. Lodge, in particolare, era convinto che l’articolo X avrebbe costretto gli Stati Uniti a rinunciare a una fetta considerevole della loro sovranità, e che li avrebbe coinvolti in guerre non in linea con i loro interessi.

Wilson si oppose fermamente a qualsiasi modifica del trattato, inclusa la mitigazione dell’articolo X, contribuendo significativamente al fallimento della ratifica del trattato da parte degli Stati Uniti. Alcuni storici sostengono che l’inefficacia della Società nell’operare fra le due guerre si dovette anche all’assenza degli Stati Uniti. Delle obiezioni di Lodge si fece memoria nel momento della fondazione delle Nazioni Unite, con l’introduzione del diritto di veto per alcuni articoli da parte degli stati firmatari. Inoltre, nello Statuto si evitò di introdurre un corrispettivo dell’articolo X della Convenzione.

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