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L’intervento Americano nella Seconda Guerra Mondiale

Gli Stati Uniti, nonostante la loro iniziale neutralità rispetto alle nazioni coinvolte nel Secondo Conflitto Mondiale, giocheranno un ruolo fondamentale nella vittoria alleata, concentrandosi su tutti i fronti della guerra in modo decisivo.

Ma il paese come è potuto passare dal neutralismo isolazionista gli anni Venti e Trenta a una belligeranza così marcata? Andiamo ad analizzare le fasi che portarono all’entrata in guerra e il modo in cui gli stati Uniti hanno influenzato gli eventi della Seconda Guerra Mondiale:

Posizione degli USA agli inizi della Seconda Guerra Mondiale

Le difficoltà derivate dallo sforzo bellico portato avanti dagli USA durante il loro intervento nella Prima Guerra Mondiale avevano convinto molti cittadini americani che l’entrata in guerra non li avesse affatto favoriti. Questa posizione rimase maggioritaria fino a pochi mesi prima che la Nazione prendesse parte alla Seconda Guerra Mondiale, e si acuì in seguito alla Crisi del 1929.

Il presidente Hoover, spesso percepito come anti-imperialista, continuò la politica isolazionista degli USA, intensificando l’approccio del ‘buon vicinato’ verso i paesi dell’America Latina.

Una volta salito al potere nel 1932, Roosevelt si pose in continuità rispetto alla politica del suo predecessore, ritirando le truppe di occupazione dai Caraibi e segnando la fase più rosea dei rapporti fra USA e Sud-America. La neutralità degli Stati Uniti fu ribadita nel corso degli anni Trenta attraverso una serie di leggi che passeranno alla storia come Neutrality Acts, e che appunto rimarcavano il disinteresse da parte della Nazione a prendere direttamente parte in un conflitti che non riguardassero i suoi confini nazionali.

I Neutrality Acts furono adottati per la prima volta nel 1935, seguiti da ulteriori leggi negli anni successivi, in risposta a conflitti internazionali come l’invasione dell’Etiopia da parte dell’Italia, proibendo la vendita di armi e munizioni agli stati belligeranti. Leggi ancora più stringenti furono poi approvate in occasione della Guerra Civile Spagnola, nel 1936. La tensione più evidente per gli USA in quel momento era quella con il Giappone, che stava portando avanti una campagna militare di espansione nell’estremo Oriente.

Anche in questo caso Roosevelt si decise per la continuità rispetto alla politica di Hoover, che non aveva voluto riconoscere la legittimità delle occupazioni da parte del Giappone. Anche dopo l’attacco e l’affondamento della USS Panay sul Fiume Yangtze, (per cui il Giappone si scusò formalmente), gli USA mantennero una posizione di neutralità.

Le cose cambiarono ulteriormente nel 1939, di fronte all’aggressione nazista in Europa, Roosevelt persuase infatti il Congresso a modificare i Neutrality Acts, permettendo così vendite di armi in base al principio ‘cash and carry‘ a nazioni come la Francia e il Regno Unito. Nel 940 Roosevelt riuscì a vincere le elezioni per la terza volta, promettendo che non avrebbe portato gli americani in guerra, cosa che si dimostrava però sempre più inevitabile.

Si potrebbe congetturare che anche Wendell Willkie, il suo avversario repubblicano che divenne la voce dei cittadini che vedevano in Roosevelt colui che li avrebbe portati alla guerra, fosse consapevole del fatto che la Nazione sarebbe stata risucchiata nel conflitto, prima o poi. Nel 1941 il congresso approvò il Lend-Lease Act, che permettevano agli alleati di comprare armi dalla Nazione a credito, differentemente da quanto permesso dalla revisione dei Neutrality Acts due anni prima.

Sempre nel 1941 il Congresso estese il servizio di leva con una maggioranza di un solo voto (203 contro 202), nel frattempo erano stati firmati dei trattati di reciproco sostegno in caso di guerra con le altre forze politiche americane e la flotta statunitense era stata potenziata, contrariamente a quanto stabilito dopo la fine della Prima Guerra Mondiale.

La posizione totalmente isolazionista degli Stati Uniti si andava quindi sempre più annacquando a causa dei gravi eventi internazionali.

Quando e perché gli USA entrarono nella Seconda Guerra Mondiale

Stati Uniti e seconda guerra mondiale

Gli Stati Uniti d’America entrarono nella Seconda Guerra mondiale per una serie di motivi interconnessi che si possono sintetizzare attraverso i due punti seguenti:

  • Un’escalation delle tensioni con la Germania nazista, aggravata dal sostegno progressivo degli USA a Francia e Inghilterra, soprattutto dopo l’inizio del conflitto nel 1939.
  • Un’escalation del già accennato conflitto con l’Impero del Giappone, dovuta a una crescente preoccupazione da parte degli USA nel contesto della guerra fra Cina e Giappone.

Alcuni storici revisionisti sostengono che la responsabilità di Roosevelt nel coinvolgimento sia stata generalmente sottovalutata. Secondo questa posizione, infatti, la decisione del presidente di aumentare gradualmente l’interventismo del Paese nei confronti di conflitti al di fuori dei confini nazionali avrebbe nel lungo termine causato la reazione a catena culminata con l’entrata in una guerra contro le potenze del Patto Tripartito. Andiamo a vedere come si svolsero gli eventi sinteticamente.

Nel marzo del 1941 la Germania estese la sua zona di guerra marittima all’Islanda e allo stretto di Danimarca e gli USA, in risposta, ampliarono la zona della loro Pattuglia di Neutralità fino alle coste islandesi. Gli americani, così, iniziarono a scortare le navi Islandesi e americane che si muovevano da e verso l’isola.

Dopo l’entrata dell’Unione Sovietica nel conflitto a seguito dell’invasione tedesca nel 1941, gli USA estesero il supporto del Lend-Lease anche a questa nuova nazione. Nell’agosto dello stesso anno Roosevelt e Churchill si incontrarono al largo di Terranova per firmare alcuni trattati segreti per individuare degli obiettivi bellici comuni, conosciuti come Carta dell’Atlantico.

Dalla fine di agosto gli USA iniziarono a scortare anche nave britanniche (e alleate in genere) lungo la rotta islandese. Inoltre, l’amministrazione Roosevelt diede ordine di sparare a vista alle navi italiane e tedesche nel pacifico dopo l’affondamento di un paio di navi da parte degli U-Boot tedeschi, di fatto rendendo partecipe gli USA della battaglia dell’Atlantico, ma ancora in maniera informale. Infatti, la maggioranza degli americani ancora sperava nella neutralità, e Roosevelt non voleva rischiare di inimicarsi l’elettorato forzando la mano con una dichiarazione di guerra.

Contemporaneamente, anche la temperatura del fronte sul Pacifico iniziò a raggiungere un punto critico. Nonostante non riconoscessero le conquiste giapponesi e sostenessero la Cina nella Guerra Sino-giapponese, fino all’inizio degli anni Quaranta gli americani avevano continuato a vendere alla potenza nipponica beni di prima necessità e materie prime essenziali per la prosecuzione del conflitto.

A partire dal Luglio del 1940 il governo americano avviò una restrizione progressiva del commercio con il Giappone, inizialmente in merito alla vendita di rottami di prima qualità e lubrificanti. Dopo l’invasione nipponica dell’Indocina francese (1940), poi, Washington pose un embargo sul commercio su tutti i tipi di ferro e acciaio, e concesse un prestito monetario alla Cina.

Questo causò l’adesione del Giappone al Patto Tripartito, e un conseguente inasprimento dei rapporti con gli USA, che risposero ampliando l’embargo e concedendo prestiti più ingenti alla Cina. Iniziò così una serie di negoziazioni che si trascinò fino alla fine del 1941, ma né il Giappone ne gli Stati Uniti volevano rinunciare alle loro posizioni in merito a quello che sarebbe dovuto essere il destino della Cina.

Dopo l’invasione giapponese dell’Indocina nel luglio 1941, gli Stati Uniti imposero un embargo totale sui prodotti petroliferi, rappresentando un ultimatum, dato che erano un fornitore essenziale di risorse energetiche per il Giappone.

A questo punto, il governo americano si aspettava un imminente attacco, anche grazie a delle intercettazioni, e prevedevano che sarebbe stato sferrato nel teatro del Pacifico. Il Giappone, invece, decise di aprire il conflitto nel modo più esplicito e violento, attraverso un raid aereo presso le basi militari nelle Hawaii, che causò la devastazione del porto di Pearl Harbor.

Alla fine del raid gli americani avevano perduto 18 unità della loro flotta, svariate centinaia di velivoli e circa 3500 fra morti e feriti. Quest’offensiva così plateale fu più che sufficiente a incendiare l’opinione pubblica, fino ad allora rimasta maggioritariamente neutralista.

L’8 dicembre 1941, un giorno dopo l’attacco a Pearl Harbor, gli USA dichiararono guerra al Giappone. Pochi giorni dopo, Germania e Italia dichiararono guerra agli Stati Uniti, che risposero con una dichiarazione di guerra a questi paesi dell’Asse. Nonostante dopo Pearl Harbor l’opzione isolazionista non fosse più presa in considerazione dagli americani, il Paese non era pronto alla guerra, a causa delle politiche di non-preparazione che avevano dominato nei decenni precedenti, come parte di una più ampia cultura non-interventista.

Alla fine del 1941, infatti, L’esercito americano era ancora composto di pochi uomini mal equipaggiati, e sia la marina che l’aeronautica avrebbero avuto bisogno di un netto potenziamento per poter affrontare la Seconda Guerra Mondiale.

Urgeva quindi che la produzione dello stato di ridefinisse per venire incontro alle nuove esigenze militari, così come era stato alle soglie del primo conflitto mondiale, il che determinò una serie di trasformazioni repentine nell’assetto produttivo e sociale.

Conseguenze dell’entrata in guerra degli Stati Uniti

Attacco a Pearl Harbor

L’entrata diretta degli Stati Uniti nella Seconda Guerra Mondiale ebbe un effetto molto pesante sugli equilibri del conflitto, rivelandosi nel lungo periodo determinante per la vittoria degli alleati. Questo però non deve indurci a sottovalutare la portata dei cambiamenti che questo stravolgimento portò anche sul fronte interno, mentre il paese si preparava forsennatamente a un confitto la cui scala non era mai stata uguagliata precedentemente.

Conseguenze sul fronte interno

Già dal 1939, sotto la guida di Roosevelt, gli USA avevano iniziato a prepararsi per un eventuale conflitto, spingendo per una graduale conversione dell’industria da civile a bellica, che divenne poi rapida e sistematica con l’entrata in guerra nel 1941. Venne istituito un Ufficio di Mobilitazione Bellica, che avrebbe avuto il compito di coordinare questo passaggio delicato e creato il ramo aziendale della gomma sintetica, si istituì inoltre il razionamento di cibo e materie prime chiave nella produzione bellica, come il rame, che serviva per costruire i sistemi di comunicazione cablati da usare al fronte.

La produzione crebbe a dismisura, dopo qualche difficoltà iniziale, e questo portò a una virtuale scomparsa della disoccupazione entro la fine del 1943. Erano impiegati anche donne, minorenni e afroamericani, questi ultimi sia in guerra che sul fronte interno. Il fatto causò un’aumento delle rivendicazioni delle persone di colore e delle minoranze in generale, che nel periodo bellico in molti stati ottennero delle leggi anti-segregazioniste e l’eliminazione delle poll tax (ma non senza resistenze da parte della popolazione bianca).

L’impiego maggiore dell’intelligence scientifica nel conflitto portò a uno sviluppo tecnologico enorme, sia in ambito bellico che in ambito civile. Durante questo periodo fu sviluppato il Progetto Manhattan, che portò alla costruzione della prima bomba atomica, testata nel luglio del 1945. Quest’arma di distruzione di massa ebbe un ruolo cruciale nella conclusione della guerra e influenzò profondamente l’equilibrio geopolitico durante la Guerra Fredda.

Un’altra conseguenza abbastanza scontata dell’entrata in guerra fu l’aumento della spesa pubblica, che venne sostenuto sia attraverso la vendita di Buoni di Guerra da parte dello stato, sia con l’utilizzo dei prestiti stipulati attraverso gli istituti di credito sia per mezzo dell’aumento delle tasse dei cittadini.

Infine, è importante ricordare anche che l’aumento del razzismo contro i Giapponesi e gli americani con discendenza giapponese; in seguito all’attacco di Pearl Harbor infatti oltre 110.000 persone di origine giapponese, soprattutto sulla costa occidentale, vennero trasferite forzatamente nei cosiddetti “campi di internamento”.

Conseguenze sui fronti esterni

L’ingresso degli USA nel conflitto cambiò radicalmente la scala delle forze in campo, e permise agli Alleati di tirare il fiato dopo le prime sfortunate fasi della guerra. L’offensiva americana si concentrò in primo luogo sulla liberazione della Francia, così come da accordi presi con le potenze alleate. L’unione Sovietica, inoltre, premette per l’apertura di un fronte anche in Europa Orientale, in quanto il rischio che i nazisti raggiungessero sia Londra che Mosca era reale.

Al contrario, sugli altri fronti (atlantico, africano, orientale) nessuna grande potenza alleata rischiava di perdere la propria capitale per mano delle potenze del Patto Tripartito, quindi si decise di posticipare l’impegno in queste zone. Gli americani ebbero un ruolo molto importante nel sostegno al blocco navale della Germania, che fu coperto soprattutto dalla flotta inglese e da quella canadese: si trattò dell’obiettivo principale della Battaglia dell’Atlantico, lo scontro navale transoceanico che vide contrapporsi Asse e Alleati per tutta la durata del conflitto.

In Africa l’intervento americano, che si aprì con uno sbarco a Casablanca, fu inizialmente poco fruttuoso, a causa di un problema di fiducia e coordinamento delle alte sfere delle forze alleate. Dopo l’intervento del Generale americano Eisenhower gli alleati riuscirono a bloccare l’avanzata delle forze dell’Asse, che avevano sfondato sfruttando la situazione iniziale, e già dal marzo del 1943 passarono alla controffensiva.

Con lo sbarco in Normandia, intanto, gli americani iniziarono la liberazione dell’Europa Occidentale e, con lo sbarco in Sicilia, determinarono la resa dell’Italia nel 1943 e la formazione della Repubblica di Salò.

Quello contro l’Impero del Giappone rappresentò però lo sforzo più consistente degli americani nella seconda parte del conflitto. Questo vide per la prima volta l’impiego massivo di forze aeree da parte di entrambi gli schieramenti, e l’utilizzo di mezzi militari innovativi e inediti come le portaerei.

Dopo aver accusato il colpo di Pearl Harbor (1941) gli americani attaccarono il Giappone attraverso diverse strategie: la distruzione delle loro basi in Cina, gli attacchi di terra portati avanti evitando le isole sotto controllo dell’Impero che non erano importanti strategicamente, l’offensiva navale e quella aerea.

L’intenso impegno americano nel Pacifico fu caratterizzato dalla risposta alla tenace resistenza giapponese, notabile con l’adozione della strategia kamikaze a partire dal 1944. A quanto sappiamo, i kamikaze erano piloti inesperti ma spesso istruiti e fortemente legati alla loro nazione, i quali venivano guidati in massa da un pilota esperto in missioni suicide, in cui gli aeroplani diventavano missili comandati andandosi a schiantare contro le basi e le unità della flotta americana. A questo si rispose con il potenziamento del supporto aereo e della nuova tecnologia dei radar, altro frutto della guerra

L’alta infiammabilità delle città giapponesi rendeva il bombardamento mirato una strategia privilegiata, e compensava la scarsa precisione che gli attacchi di questo tipo potevano garantire al tempo della Seconda Guerra Mondiale. Nonostante la vessazione dei bombardamenti aerei, il Giappone si dimostrò però deciso a non arrendersi, il che avrebbe significato dover promuovere una campagna di terra sull’isola, campagna verosimilmente molto costosa in termini di uomini e risorse per le forze alleate.

Per evitare un prolungato assalto terrestre in Giappone, gli americani, dopo significative vittorie nel Pacifico, optarono per accelerare la conclusione del conflitto sganciando bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki il 6 e 9 agosto 1945. Questo fu uno degli eventi della guerra che ha più inciso nell’immaginario collettivo contemporaneo, segando il raggiungimento di un nuovo livello di distruttività degli arsenali utilizzati nelle guerre moderne. La fierezza nipponica, che non si piegò dopo il primo attacco nucleare, fu spezzata dal secondo perché si temeva potesse essere l’inizio di una serie: così l’Impero Giapponese si arrese.

Gli USA furono impiegati anche in altri fronti minori, e per tutta la durata del conflitto offrirono supporto economico agli alleati tramite dei finanziamenti e delle forniture a credito di armamenti. Anche su questi crediti si sarebbe poi basata la costruzione di un fronte atlantico, liberale e democratico dopo la fine del conflitto, durante le prime fasi della Guerra Fredda.

Fonti consultate

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